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Elezioni del 24-25 Febbraio 2013

 

Il 24 e 25 febbraio 2013 saremo nuovamente chiamati a quella che viene definita “consultazione elettorale” per scegliere i rappresentanti dei cittadini alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica.

La locuzione “scegliere i rappresentati” forse può apparire inadeguata dal momento che l’attuale, tanto odiata (a parole) ma allo stesso tempo tanto amata (nei fatti) da parte delle segreterie nazionali di partito, legge elettorale permette la realizzazione di due fenomeni: il primo quello di non poter scegliere direttamente il candidato (cosa che invece per fortuna ancora avviene in occasione delle elezioni amministrative locali)  e contemporaneamente consente la possibilità di candidare persone in collegi (ovvero in zone d’Italia) nei quali in tutta la loro vita non hanno mai neanche visitato una sola volta.

Ma al di là di questi inconvenienti l’appuntamento elettorale rimane un momento, una procedura democratica fondamentale per la vita del Paese non solo dal punto di vista teorico e dei diritti ma prevalentemente da un punto di vista concreto per la Nostra vita quotidiana.

Il 2013, come lo è già da più di due anni, secondo i più esimi studiosi di economia continuerà ad essere un anno di gravi difficoltà economiche e seppur spinti da un ottimismo di buona volontà bisogna avere il coraggio di abbandonare la propaganda elettorale e con essa la bellissima favola del “2013 anno della ripresa”. La ripresa è necessaria che cominci al più presto ma come per tutti gli storici fenomeni di macroeconomia essa comincia a dare i suoi graduali effetti, in modo stabile, nel lungo periodo.

In Italia il nodo centrale che si deve dipanare essenzialmente è quello del lavoro.

La dimensione lavorativa si trova alla base dell’intera società; infatti oltre ad essere riconosciuto dalla Costituzione come un diritto (art. 4) ed essere stato definito dalla dottrina e dalla giurisprudenza come uno “strumento di realizzazione della dignità della persona” è la condizione che permette all’individuo di realizzare tutti gli altri diritti come quello dell’indipendenza ed autonomia economica, del formarsi una famiglia, avere un luogo dignitoso dove vivere e di avere i mezzi di sussistenza per la vita quotidiana.

Per questi motivi non solo il nuovo governo ma tutte le parti sociali quali sindacati e associazioni datoriali di lavoro in questo nuovo anno devono necessariamente mettere da parte le ostilità, i pregiudizi e trovare la via del dialogo per cominciare a realizzare, con il maggiore consenso possibile, una serie di politiche del lavoro che rilancino l’avvio di attività lavorative (anche se dovessero chiedere delle riforme) e di opere pubbliche realizzate in modo che non siano un inutile aggravamento del debito pubblico, attraverso opere di breve durata e di non eccessivo impegno economico per lo Stato.

Secondo i dati riportati dall’ISTAT nel biennio 2008-2010 (quindi nel periodo precedente e in quello di piena crisi economica) le Piccole Medie Imprese (fino a 50 lavoratori) hanno mediamente aumentato i propri investimenti in ricerca e innovazione dello 0,7 % mentre le Grandi Imprese (oltre i 50 lavoratori) hanno diminuito tali investimenti del 1,4 %.

Nel biennio 2008-2010 le P.M.I. hanno aumentato del 9, 8 % la quantità di risorse destinate alle innovazioni comportando un 24,9 % in più di risorse a disposizione da investire per singolo lavoratore. Ciò ha fatto sì che in tutti i settori, tranne che nell’industria, le P.M.I. innovatrici hanno investito circa 800,00 euro annui in più ad ogni singolo lavoratore rispetto ai circa 500,00 euro annui in più della G. I.

Nell’industria, invece, la spesa pro capite lavoratore annua delle G.I. è di 11.200,00 euro rispetto agli 8.100,00 delle P.M.I.

Le politiche pubbliche del lavoro dal 2008 al 2010, quindi sotto governi di centro-sinistra e centro-destra, sono state indirizzate al riconoscimento d’incentivi (es.  attraverso forme di sgravio fiscale) per lo sviluppo della ricerca ed innovazione prevalentemente delle G. I. con sussidi ed incentivi del 18 % di fondi pubblici mentre alle piccole imprese ne è stato destinato l’ 8 %.

Osservando questi dati ISTAT ci si pongono due domande: perché è così importante la ricerca e l’innovazione nel campo del lavoro e perché, sia da destra che da sinistra, vi è stata questa quasi esclusiva attenzione da parte del Governo nazionale alla Grande Impresa?

In un periodo in cui il mercato economico e del lavoro godono di buona salute il ruolo della ricerca e l’investimento in innovazioni permette, all’impresa, di raggiungere due obiettivi: il primo quello di trovare un maggiore spazio nel mercato della domanda, dei consumi, riuscendo ad avere così committenti o clienti i quali permettono maggiori entrate all’impresa ed il secondo, se il principio d’investimento in innovazione si applica al ciclo produttivo, all’organizzazione del lavoro fa sì che possano migliorare le condizioni (di contesto lavorativo e retributive) dei lavoratori. Inoltre se l’impresa ha maggiori domande, maggiori entrate e un’organizzazione lavorativa specializzata potrà assumere più lavoratori con una retribuzione più alta in quanto specializzati. A sua volta retribuzioni più alte significano più consumi da parte degli stessi lavoratori e domande per gli altri settori produttivi costituendo una maggiore ricchezza per il Paese ottenuta prevalentemente con fondi privati e con una minima spesa di denaro pubblico. Se tale circolo appare virtuoso in un’economia sana, si pensi quali effetti benefici può produrre in un Paese che è in crisi.

In questo quadro naturalmente i soggetti privati che mettono a disposizione, in prestito, i capitali economici alle imprese quali gli Istituti di credito bancari devono avere il coraggio etico di cominciare, non un’attività di beneficenza, ma a scommettere sulle imprese e sui progetti d’iniziativa imprenditoriale ricordandosi l’imbarazzante gap che in Italia esiste tra il “costo del denaro che acquistano” e i tassi d’interesse (seppur aggravati dai tassi governativi) che impongono ai soggetti, in particolare le imprese, che ricorrono alle banche.

La seconda questione che ci si può porre è chiedersi perché questa particolare attenzione alle Grandi Imprese rispetto alle Piccole e Medie Imprese?

Risulterebbe scontato ricordare che i lavoratori sono tutti uguali in materia di dignità a prescindere se sono iscritti o no ad un sindacato ed allo stesso tempo che tutti gli imprenditori (che sono anch’essi lavoratori) hanno uguale dignità indipendentemente dal fatto che siano iscritti o non lo siano ad un’associazione datoriale di lavoro.

Acclarato ciò, allora, perché questa diversa attenzione da parte del Governo?

L’unica risposta che mi viene in mente è la seguente. Nell’agenda dei governi un fattore che influisce molto nel prendere una decisione è il peso che alcuni grandi imprenditori hanno all’interno delle associazioni datoriali di lavoro, così come influisce molto il peso che hanno i sindacati.

Questi due “pesi” si trasmettono, di fatto, come “pesi” politici sulle scelte del Governo il quale, nel proprio operato, è democraticamente vincolato dal consenso dei partiti politici che lo sostengono i quali, a loro volta, sono democraticamente vincolati dal consenso dei cittadini i quali (come è ovvio nell’uomo) ognuno di essi guarda la vita dalla propria prospettiva e persegue gli interessi, certamente legittimi, della propria persona.

In questo modo succede però che si crea, nel caso specifico, una disparità di trattamento tra G.I. e lavoratori di serie A e P.M.I. e lavoratori di serie B, quando in realtà, dati ISTAT alla mano, sono proprio questi ultimi a determinare il Pil nazionale e che hanno speso di più in innovazioni ma paradossalmente sono quelle più “dimenticate” da parte dello Stato.

Questa semplice osservazione può sembrare un teorico discorso di economia astratta, ma in realtà non è così, in realtà questo problema incide nella Nostra vita quotidiana dal momento che se non riparte l’occupazione, un’occupazione in cui si venga riconosciuti e trattati con dignità, il Paese e la Nostra vita individuale si troveranno in più gravi difficoltà,  non solo economiche, ma anche nel dover affrontare il conseguente deterioramento dei rapporti umani e sociali.

Per tali motivi il 24 e 25 febbraio, anche se possiamo essere indignati e persino nauseati da tanti esempi di cattivi politici e cattiva politica, non voltiamo la testa con indifferenza, la stessa che purtroppo ha spinto a non votare  il 53 % degli elettori siciliani in occasione delle ultime elezioni regionali, ricordandoci che il voto è l’unico modo civile e non violento per scegliere quale via dovrà percorrere il nostro Paese e quindi la nostra società.

Andiamo a votare ed in questi giorni, in cui da parte dei candidati sentiremo il tutto e il contrario di tutto, non facciamo caso a ciò che è coreografico ma poniamo particolare e precisa attenzione al tema del lavoro perché da esso dipende il futuro Nostro e delle persone a Noi care.

Grazie per l’attenzione e buon voto.

Gianfranco Marotta